Reazioni psichiche alla pandemia da Coronavirus
- N. 0 - 2023 Psiche e Coronavirus
Gianfranco Del Buono
- 1 Dicembre 2020
Gianfranco Del Buono
Psicologa, Psicoterapeuta
Abstract
In questo lavoro si discute della diffusione della pandemia dovuta a Covid-19, e come questa può indurre ed elicitare risposte emotivo-psicologiche in una larga parte della popolazione. La storia ha presentato già altri fenomeni pandemici, e nel 1920, proprio Freud perse una figlia a causa della influenza spagnola. La diffusione delle problematiche emotive ha fatto parlare qualcuno di contagio emotivo. I disturbi psichici che potranno diffondersi a breve con un’alta prevalenza nella popolazione appartengono a quei disturbi che il DSM-5 classifica come correlati allo stress ed al trauma. I più frequenti fra questi saranno i disturbi dell’adattamento e disturbo da stress post-traumatico, il più noto di tuti. Ma le manifestazioni comportamentali includono anche quelle dovute ad una difficoltà nel controllo degli impulsi che si traducono in espressioni comportamentali di rabbia. Ma c’è anche un altro fenomeno che si diffonde, coloro che sono convinti che l’epidemia sia dovuto ad un complotto di non meglio identificate persone, che hanno messo in atto tali comportamenti per arrecare sofferenza. Questo modalità di pensiero assomiglia e simile a modalità di pensiero delirante dei paranoici.
Parole chiave: Pandemia; Disturbi dell’adattamento; PTSD; Saltare alle conclusioni”.
L’11 marzo ultimo scorso, con una dichiarazione del Direttore Generale del WHO, il Covid-19 ha assunto lo status di pandemia, cioè un’epidemia che rispetta le seguenti condizioni: si è diffusa tra persone, si è propagata a livello globale, e ha provocato morti.
Ma non è la prima volta che l’umanità affronta problemi di pandemia. La storia è piena di tali epidemie devastanti, che hanno messo a dura prova le strutture sociali della società. Senza ritornare alle manifestazioni storiche, rievocate dal Boccaccio e dal Manzoni, anche nel 1920 l’Europa fu devastata da una epidemia di influenza (la spagnola), che fece moltissimi morti. Ed il fenomeno della pandemia entrò in contatto con il pensiero psicoanalitico, che in quegli anni era nel pieno del suo sviluppo. Infatti, in tale frangente, Freud perse la quinta figlia, Sophie. A quanto sostenuto da Fritz Wittels, il suo primo biografo, il pensiero di Freud ha risentito di tale lutto, (Kahn & Huremovic 2020), tanto che, nel libro “Oltre il principio del piacere”, pubblicato subito dopo la morte della giovane e amata figlia, Freud elabora il concetto di “Istinto di morte” (“Death Drive”). Poi, in una lettera inviata a Max Eitington, Freud parla di questo suo evento luttuoso e lo considera come “paralizzante che non riesce a generare alcuna riflessione”.
Insomma, sembra che Freud non è riuscito ad elaborare questo lutto ed esprimerlo con parole o riflessioni (Kahn & Huremovic 2019).
C’è una accettazione fatalistica, una completa sottomissione al fato, senza alcuna riflessione, senza nessuna domanda sulla malattia fatale che girava per l’Europa portandosi via moltissimi giovani. Tangibile è il lutto per la devastante perdita della figlia, ma rimangono assenti le valutazioni critiche sul significato di tale evento e sulle modalità in cui il nostro Sé può percepire e correlarsi a tale fenomeno (Kahn & Huremovic 2019).
E tale vicenda personale drammatica di Freud è facilmente accomunabile a quella di molte persone che hanno perso i loro cari, in questa tragedia collettiva attuale. Se c’è solo il compianto ed il dolore per la perdita di una persona amata, ma senza un’operazione di riflessione, la causa della morte viene lasciata inesplorata dalla riflessione conscia, e quindi può ritornare liberamente nelle profondità dell’inconscio. Fino a che la stessa situazione non si ripresenti, noi manifestiamo disinteresse fino alla noia, sembriamo non coinvolti da un evento del genere che sta producendo vittime e catastrofi, né mostriamo interesse per ciò che l’epidemia sta producendo nelle nostre menti. Ma la perdita di interesse qui non è una sensazione autentica, ma una pura resistenza ad una situazione che ci può sopraffare completamente o dare luogo ad una grave perdita di controllo emotivo (Eastwod et al 2013).
"Epidemiologia emotiva"
“Negli ultimi giorni e settimane, la vita è cambiata per ognuno di noi in modi che non hanno precedenti”: queste sono le parole espresse da M. Freeman, in un editoriale del Journal of Clinical Psychiatry (Freeman 2020). La pandemia da Covid-19 ha catturato la nostra immaginazione ed ha acceso le nostre paure in maniera che non fanno altre malattie, a noi più familiari.
Un fenomeno come la pandemia rompe l’ordine e la routine che abbiamo conferito alla realtà circostante, inducendoci a strutturare in maniera diversa memorie ed esperienze, ed anche il ritorno alla normalità potrebbe essere accompagnato a meccanismi difensivi come repressione ed amnesia. La sofferenza determinata da questa epidemia ha un significato esistenziale profondo per la nostra psiche individuale e “collettiva”, così come è avvenuto al primo incontro tra psicoanalisi allo stato nascente e pandemia da influenza spagnola (l’episodio della morte della figlia di Freud).
Tutto ciò non può non avere delle conseguenze sul nostro assetto mentale. Ci troviamo di fronte ad un evento collettivo che elicita in ognuno di noi risposte e/o reazioni emotivo-comportamentali, che possono costituire indizio di un disagio psichico.
Questa diffusione collettiva di reazioni emotivo-psicologiche ha fatto parlare di contagio emotivo o di epidemiologia emotiva (Ofri 2009): un’attivazione emotiva che si trasferisce da persona in persona.
Gli operatori della salute mentale possono avere un impatto significativo sulla salute mentale pubblica, aiutando ad alleviare le ansie e le preoccupazioni che si stanno diffondendo “in maniera contagiosa”. La gestione di preoccupazioni, paure, idee sbagliate che si formano a livello comunitario diventa importante come trattare il singolo paziente; ecco per cui, in tali condizioni, potrebbe essere utile una comprensione di base della “epidemiologia emotiva”, secondo il termine utilizzato da Ofri. Quando una nuova malattia viene “inoculata” nella società, la psiche “pubblica” diviene rapidamente infetta. Ma quando questa nuova malattia si è stabilita all’interno della società, si forma una certa tolleranza emotiva, verso il disagio psicologico stesso: “l’epidemiologia emotiva non è rimasta statica”, (Ofri 2009).
Potremo distinguere il contagio emotivo dal contagio comportamentale. Come abbiamo visto, il contagio emotivo è la diffusione di emozioni, e sensazioni nella popolazione, attraverso l’esposizione, mentre il contagio comportamentale è la propensione a mettere in atto certi comportamenti, esibiti da altri nelle vicinanze o attraverso i mass-media (Kahn & Huremovic 2019).
Così gli aspetti pubblici, psicologici dell’epidemia hanno nuclei di disinformazione (le “Fake News”), si nutrono di incertezza, crescono nel dubbio e “si nascondono” nel sistema limbico dei nostri cervelli (come una sorta di incubazione), e poi sfruttando come vettori i mass-media, esplodono sotto forma di panico individuale o di massa, minacciando di sopraffare le risorse di coping dell’individuo e della società. La malattia mentale come un contagio simbolico: “la follia è contagiosa”, afferma J. Heller nel suo romanzo “Catch-22” (Heller 1961).
A proposito delle fake news, in uno studio (Sommariva et al 2018) sulla diffusione delle fake news nella epidemia di Zika (del 2015), hanno riscontrato che le affermazioni non documentate (“voci”, fake news) hanno avuto una condivisione (“like” sui social media) tre volte superiore rispetto alle notizie documentate, per cui concordavano con il Comitato di Emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo la presenza di una comunicazione a rischio nelle situazioni di epidemia.
Le reazioni psicosociali verso un’epidemia infettiva possono andare da sentimenti di ansia, di vergogna, di fallimento o debolezza dell’individuo e della società (Verghese 2004), di sottostimare la probabilità di sopravvivenza, e di una sovrastima delle probabilità di essere infettato (Koh et al 2005), ad una eccessiva e inappropriata adozione di misure di precauzione, ad un aumento della domanda di servizi sanitari, in breve tempo (Rosling & Rosling 2003), oppure una fuga dall’epidemia (Cherian et al 1995).
Disturbi da stress secondo il DSM-5
In conclusione siamo spettatori e vittime di un evento storico; tale evento comporta una situazione di stress a cui noi reagiamo con le nostre capacità individuali di coping e di resilienza. Ognuno in maniera diversa. Ma lo stress, che in questo caso potremo definire collettivo, genera disturbi psichici, che potremo trovare elencati nel capitolo dei disturbi correlati ad eventi traumatici e allo stress del DSM-5 (vedi tabella 1).
I primi due disturbi elencati riguardano i bambini che hanno avuto problemi di attaccamento nei primi anni di vita, e quindi non sono attinenti alla Pandemia da COVID-19. Mentre gli altri disturbi elencati, il PTSD il disturbo acuto da stress, e i disturbi dell’adattamento (con i vari sottotipi) sono i disturbi che con grande probabilità investiranno la popolazione in un futuro abbastanza prossimo.
La caratteristica diagnostica peculiare di tali disturbi consiste nella riconoscibilità dell’esposizione ad un evento traumatico o stressante. I disturbi appartenenti a questo gruppo non solo differiscono per gravità ma anche per qualità fenomenologica. Infatti il DSM-5 segnala che le caratteristiche cliniche più evidenti sono sintomi anedonici, disforici, sintomi di rabbia e aggressività esternalizzate, sintomi dissociativi, mentre possono rimanere in secondo piano i sintomi basati sull’ansia o sulla paura. In conclusione, siamo in presenza di sintomi variegati che non possono essere rinchiusi in un unico cluster sintomatologico.
Le problematiche psichiatriche, che conseguono ad una epidemia infettiva, sono state valutate nell’epidemia di SARS del 2003 (Kang et al 2010), ed in cui i clinici hanno riscontrato nel 25,8% della popolazione l’insorgenza di una sintomatologia post-traumatica, in cui si avevano sintomi psichici attinenti i tre clusters sintomatologici tipici del PTSD: l’iperattivazione, l’intrusione, l’evitamento. In tale studio (Kang et al 2010), la sintomatologia post-traumatica si accompagnava più spesso a meccanismi di coping basati sulla negazione e sulla pianificazione. In questa situazione, le preoccupazioni più frequenti manifestate dalla popolazione erano rappresentate da una sensazione di perdita di controllo della situazione relativa all’infezione, di contrarre l’infezione, o gli effetti sulla salute dei membri della famiglia (Halligan et al 2003, Pakenham & Rinaldis 2001).
Ovviamente l’epidemia di Covid-19 è troppo recente per avere dati epidemiologici certi riguardo le sue conseguenze psicologiche e /o psichiatriche. In uno studio realizzato in Cina nella fase iniziale dell’epidemia di COVID-19 (Wang et al 2020), si è potuto valutare l’impatto psicologico (con una gravità moderata-severa) in circa la metà dei partecipanti allo studio, e si traduceva in una presenza di sintomi ansiosi (da moderati a gravi) in un terzo circa dello stesso tipo di popolazione. L’impatto psicologico è stato valutato tramite una scala psicometrica (IES-R), di autovalutazione. È interessante notare che la IES-R è basata su tre sottoscale, che vanno a valutare tre principali dimensioni: l’evitamento, l’intrusione e l’iperarousal (appunto le tre dimensioni sintomatologiche che descrivono il PTSD, secondo il DSM-IV).
I disturbi dell’adattamento sono descritti come reazioni maladattive a stressors psicosociali identificabili o cambiamenti nelle situazioni di vita (in questo caso l’isolamento, la quarantena). I sintomi emergono entro tre mesi dalla comparsa dello stress, e ovviamente inducono una serie di alterazioni nel funzionamento sociale o occupazionale. Va sottolineato che mentre il DSM-5 richiede la presenza di una sofferenza eccessiva o spropositata rispetto all’evento stressante, l’ICD-11 entra un po’ più nello specifico, richiedendo la presenza di preoccupazioni verso l’evento stressante e le sue conseguenze, con ruminazioni eccessive e persistenti (Maerker & Lorenz 2018). Probabilmente molte di queste problematiche rientrano nella sfera della depressione e in quella dell’ansia, che può essere declinata in tutte le sue dimensioni: fobia, attacco di panico, ruminazione ossessiva, ansia cognitiva e somatizzata, ipocondria.
Ma in questo ambito clinico esistono anche manifestazioni emotive comportamentali psicopatologiche che non possono essere fatte rientrare nella depressione e/o nell’ansia, come sintomi dovuti ad uno scarso controllo degli impulsi e difficoltà a regolare le emozioni (Maerker et al 2007). Tali manifestazioni comportamentali basate sulla rabbia, potrebbero manifestarsi in situazioni quotidiane, non attinenti alla pandemia infettiva. Nei periodi di stress, e di disagio emotivo che ne consegue, aumenta l’attivazione neurofisiologica (l’adrenalina), senza la nostra consapevolezza, per cui è più facile andare incontro a sensazioni di frustrazione, quando non otteniamo ciò che riteniamo giusto ricevere.
"I complottisti"
Ma degno di attenzione è un fenomeno particolare che si sta profilando in questo frangente: il fenomeno denominato dei “complottisti”. Potremo definire complottisti coloro, che sono convinti che persone, gruppi o agenzie, abbiano messo in atto intenzionalmente, per interessi personali, dei comportamenti in grado di diffondere l’infezione su larga scala.
In questo tipo di ragionamento, si trasforma il possibile in probabile anzi nel certo: si trasforma ciò che può succedere in ciò che è successo. E ciò chiaramente implica una distorsione cognitiva, in cui si giunge a conclusioni o decisioni in maniera troppo anticipata, e sostenute da una certezza granitica: c’è una differenza tra ciò che è osservabile e ciò che è ritenuto verità incontrovertibile. Questo fenomeno è stato denominato “saltare alle conclusioni” (“jumping to conclusion”), che potrebbe essere definito come la tendenza ad utilizzare pochi dati per giungere a una certezza; informazioni anomale o ambigue sono valutate rapidamente per giungere poi a conclusioni sulla base di limitate evidenze, senza considerare alternative, e senza una verifica successiva (Garety & Freeman 2013). Il “jumping to conclusion” è oramai riconosciuto come uno dei meccanismi cognitivi, neuropsicologici alla base dei deliri dei paranoici e degli schizofrenici.
La genesi di un delirio appare complessa e richiede la presenza di una serie di fattori (una multifattorialità), che facilitano valutazioni maladattive che sono l’origine di questi anomali stati mentali (Garety & Freeman 2013). Tra tali fattori si possono includere alterazioni specifiche del ragionamento e di elaborazioni dell’informazione (il “jumping to conclusion”), convinzioni preesistenti riguardo il Sé e gli altri (diffidenza verso le intenzioni altrui), la presenza di disturbi emotivi attuali (eccesso di ansia), fattori sociali (isolamento, avversità).
Non dobbiamo immaginare che nella genesi del delirio siano sufficienti solo componenti cognitive neuropsicologiche, perché assumono il loro rilievo anche le componenti affettive. È stata avanzata l’interessante ipotesi (Bentall et al 1994) che il delirio rappresenta anche una difesa verso emozioni negative, generate per esempio da situazioni poco comprensibili. I soggetti, con una bassa autostima inconscia, tentano di spiegare razionalmente eventi negativi attribuendoli alla ostilità di altri, non permettendo in tal modo di lasciar affiorare alla coscienza pensieri negativi riguardo a sé stessi, troppo dolorosi da sostenere.
Non si vuole affermare che le convinzioni dei “complottisti” rappresentino un delirio in senso stretto, ma che alcune credenze, modalità di ragionamento, avanzate nel modo che abbiamo illustrato, rasentino, assomiglino a quello del delirio.
Questo concetto diventa ancora più comprensibile se abbiamo una visione dimensionale delle esperienze psicotiche (in questo caso deliranti), in cui all’estremo di un continuum si posizionano contenuti di pensiero del tutto normali, mentre dall’altro e ritroviamo idee ad intensità delirante, ed in mezzo una serie di idee più o meno patologiche presenti nella popolazione generale. Alla base di ciò può esserci una sensitività interpersonale, di carattere emotivo (Bebbington et al 2013).
Conclusioni
La pandemia costituirà anche un’emergenza psichiatrica, per cui nell’immediato futuro, molte persone potranno sviluppare un franco disturbo dell’adattamento o un disturbo post-traumatico da stress. Molti altri potrebbero sviluppare un disagio emotivo sottosoglia, manifestando solo dei sintomi sporadici all’interno di questo spettro.
Pertanto, uno dei compiti principali che gli operatori della Salute Mentale avranno di fronte nei prossimi mesi, sarà quello di occuparsi della “miriade di reazioni emotive” (Kang et al 2010) che comprenderanno l’ansia, la depressione, sintomi somatici, la difficoltà a controllare gli impulsi, insieme alle varie preoccupazioni, persistenti e pervasive, rispetto alla propria salute, a quella dei familiari e degli amici, e alla speranza di avere presto una cura. Consequenziale a ciò sarà la necessità di distinguere tra situazioni psicopatologiche di rilievo clinico, che richiederanno un trattamento e situazioni che invece sono normali reazioni allo stress.
Nei prossimi mesi, la psichiatria avrà l’obbligo di elaborare e mettere in atto degli interventi tempestivi (Xiang et al 2020). Sarà necessario istituire dei teams multidisciplinari (con psichiatri, psicologi clinici, infermieri) con il compito di fornire supporto psicologico a pazienti e lavoratori sanitari. Si dovrebbero istituire dei trattamenti psichiatrici specifici all’interno di Servizi di Salute Mentale organizzati per tale tipo di problematiche. Occorre sviluppare una comunicazione chiara aggiornata dell’epidemia, per eliminare o ridurre l’incertezza e la paura. Ci sarà da riflettere sulla possibilità di organizzare servizi di counseling psicologico attraverso mezzi digitali o informatici (ad esempio smartphones) per i pazienti affetti e per le loro famiglie. I pazienti con sospetta o già diagnosticata polmonite da Covid-19 dovrebbero ricevere uno screening per valutare il distress psicologico e soprattutto la componente suicidaria.
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Del Buono G: Reazioni psichiche alla pandemia da Coronavirus. In: Neamente Journal, vol. 1, no 1, 2020. (Tipo: Journal Article | Abstract)@article{DelBuono2020b, In questo lavoro si discute della diffusione della pandemia dovuta a Covid-19, e come questa può indurre ed elicitare risposte emotivo-psicologiche in una larga parte della popolazione. La storia ha presentato già altri fenomeni pandemici, e nel 1920, proprio Freud perse una figlia a causa della influenza spagnola. La diffusione delle problematiche emotive ha fatto parlare qualcuno di contagio emotivo. I disturbi psichici che potranno diffondersi a breve con un’alta prevalenza nella popolazione appartengono a quei disturbi che il DSM-5 classifica come correlati allo stress ed al trauma. I più frequenti fra questi saranno i disturbi dell’adattamento e disturbo da stress post-traumatico, il più noto di tuti. Ma le manifestazioni comportamentali includono anche quelle dovute ad una difficoltà nel controllo degli impulsi che si traducono in espressioni comportamentali di rabbia. Ma c’è anche un altro fenomeno che si diffonde, coloro che sono convinti che l’epidemia sia dovuto ad un complotto di non meglio identificate persone, che hanno messo in atto tali comportamenti per arrecare sofferenza. Questo modalità di pensiero assomiglia e simile a modalità di pensiero delirante dei paranoici. |
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