Il silenzio dell’escluso
- N. 0 - 2022 Psiche e Coronavirus
Pasquale Areniello
- 1 Dicembre 2020
Pasquale Areniello
Docente di Letteratura Italiana
Abstract
Brevi riflessioni tra arte e letteratura sulla condizione dell’escluso. Un percorso che va dai silenzi del Mastro – don Gesualdo di Verga alla condizione dell’isolamento di Leopardi, alla Emily Dickinson che si esclude dalla società. Passando per il non finito nel campo dell’arte, al film interamente senza parole di Ettore Scola per concludere con la “pagina bianca” di una certa narrativa contemporanea come invito alla conoscenza e a scrivere ancora.
Parole chiave: Esclusione; Solitudine; Silenzio
In tempi di coronavirus, con la conseguente imposizione a non uscire di casa, si è venuta a creare, per la maggior parte di noi, una condizione di esclusione dal contesto sociale, dettata da motivi di sicurezza per la salute pubblica. Riflettendo sul nostro modo di essere e sulla nuova esperienza di vita, che ci è toccata sperimentare, mi sono andato convincendo che ogni forma di esclusione, alla fine, si manifesta come silenzio. Dall’esclusione volontaria di chi non ha più nulla da dire, all’esclusione imposta, per tutta una serie di motivi, il denominatore comune ricorrente rimane pur sempre il silenzio.
Il pensiero torna indietro negli anni, recuperando figure di artisti e di uomini di cultura, che hanno delineato personaggi o circostanze in cui il silenzio dominava sovrano, fino a farsi padrone assoluto dell’intera vicenda. Un caso per tutti, il Mastro – don Gesualdo di Verga.
Il romanzo, il secondo de “Il ciclo dei vinti”, presenta un volto completamente diverso rispetto al primo, ne I Malavoglia infatti è il chiacchiericcio che domina sovrano, è la voce della piazza, delle strade di Acitrezza, delle comari al lavatoio, che in certi momenti diventa addirittura cicaleggio e fa da colonna sonora a tutta la narrazione.
Sostanzialmente un romanzo corale, e quando c’è coro, c’è gruppo, c’è appartenenza e capacità di condividere apprensioni, problemi, disagi.
E nel confessarsi reciprocamente l’intima sofferenza, si trova la forza di superarla, confrontandola alla pena e alla sofferenza degli altri.
Nel Mastro è la solitudine del protagonista, che domina la scena.
E alla fine di tutto sarà proprio il protagonista a scegliere il silenzio come forma di protesta e di rifiuto di tutto ciò che lo circonda.
Le sue ultime parole: “Ora fammi chiamare un prete, — terminò con un altro tono di voce. — Voglio fare i miei conti con Domeneddio”.
La confessione, l’ultima, poi nulla…
In qualche altra circostanza, come segno di chiusura estrema, neanche quella…
Alle insistenze del prete, che vuole confessarlo, prima della esecuzione della condanna a morte, il protagonista de Lo Straniero di Albert Camus, rifiuta, giustificandosi “… mi restava solo poco tempo. Non volevo sprecarlo con Dio”.
Personalmente sono stato da sempre convinto che là dove c’è confronto, scambio, incontro, non c’è spazio per la depressione.
Fino a quando la piazza del paese, il sagrato della chiesa, l’osteria, hanno rappresentato un punto di aggregazione, il ritrovo, il salotto – si fa per dire – dove confrontarsi, non c’è stato spazio per chiudersi in se stessi, facendo dei propri crucci, delle proprie malinconie, del proprio disappunto, una condizione esistenziale, destinata a trasformarsi in patologia. In sostanza, la mia convinzione è che per buona parte la depressione sia figlia della solitudine, dell’emarginazione sociale, della condizione di escluso.
E c’è da chiedersi perché mai il Verga si sia mosso in questa direzione, decidendo alla fine di non completare il ciclo dei vinti. Un silenzio quasi ventennale, che lo accompagnerà fino alla morte. Di mio ho sempre individuato nel suo crescente pessimismo, la ragione fondamentale di un simile comportamento.
Nel primo romanzo, agli occhi del narratore, la Sicilia e la sua gente si configuravano come l’Eden perduto, il mondo in cui la legge del rispetto e dell’onore erano i sovrani assoluti. Nel secondo romanzo, l’ambizione del potere economico, l’insopprimibile desiderio della scalata sociale, inducono addirittura alla mercificazione dell’onore al punto che il mastro, pur di diventare don, sposa una donna compromessa, in attesa di un figlio non suo.
Dinanzi al crollo definitivo del mito della sua terra, il romanziere non ha più nulla da aggiungere e tace per sempre.
Il suo silenzio di narratore è paragonabile alla scelta della pagina bianca di tanta letteratura contemporanea, alla tela non dipinta di artisti del nostro tempo, al “non finito” come scelta autonoma dell’artista di lasciare incompiuta l’opera a cui stava lavorando.
È il caso di Michelangelo, con i suoi prigioni del Louvre e della Galleria dell’Accademia a Firenze
Tutto questo è silenzio, scelto come espressione ora di una rinuncia personale, ora come protesta, ora come resa incondizionata, ora come impossibilità di dare corpo ad un rapporto di relazione e di confronto col fruitore dell’opera d’arte.
Neanche la cinematografia, quella dell’impegno, della ponderata e sofferta riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo del nostro tempo, si sottrae a questa suggestione e nasce così un capolavoro come “Ballando ballando” di Ettore Scola.
Il motivo di fondo, il nucleo essenziale del concetto espresso: “Le parole non servono più… tanto nessuno ti ascolta…” nel caso specifico di una discoteca, il volume assordante della musica copre ogni forma di parola o espressione dell’interlocutore, che si ha difronte.
Tra tanto rumore, ancora silenzio…
Un silenzio che si fa sinonimo di impossibilità di comunicare.
Anche a noi, le disposizioni di legge, unite al buonsenso per limitare il dilagare di una pandemia, hanno imposto il silenzio, non quello degli scambi verbali, delle interminabili chiacchierate al telefono o in videoconferenza, ma un silenzio inteso come mancanza di vicinanza fisica, di abbracci e strette di mano, di calore reciproco, quello che anche solo un’occhiata – a distanza ravvicinata – è capace di dare.
E abbiamo scoperto quanto fredda ed incolore possa diventare la più entusiasmante delle avventure sulla strada della conoscenza: il rapporto docente-discente, lontano da un’aula scolastica. La DAD, la famosa didattica a distanza, voluta e sostenuta con ogni mezzo, a che le lezioni continuassero pur con le scuole chiuse, ha rivelato – pur nel suo avanzato tecnicismo – quanto privo di vitalità possa diventare il mestiere dell’insegnamento.
Il microfono, la videocamera, lo schermo si sono rivelati per la maggior parte degli utenti come trincee tra gli interlocutori.
Significativo, in proposito, il passaggio di una riflessione, sotto forma di lettera – che circola sul web- di uno studente sedicenne, “Al posto del professore uno schermo, una voce. Parlano e noi, connessione permettendo, ascoltiamo. Ma la testa gira, va via, come i giga e il collegamento. La lavagna non c’è più. Non c’è il mio vicino di banco. Tutto è tanto, troppo lontano. Riprovi a concentrarti, fissi lo schermo, cerchi un sorriso nella webcam…”
È il calore umano, il contatto fisico, la complicità di chi ti siede accanto, che manca… Di qui il senso di isolamento, di esclusione, pur rimanendo all’interno di una fitta rete di contatti virtuali.
È anche vero – e come negarlo? – che da situazioni di autoesclusione, di isolamento totale dal contesto, che ti circonda, sono nati capolavori assoluti – mi limito a citarne qualcuno soltanto – come le liriche del Leopardi o i componimenti poetici di Emily Dickinson.
Ma quella è un’altra storia!
A noi, a me personalmente, per quanto riguarda la situazione che stiamo vivendo, rimane la sensazione di essere dinanzi ad una pagina bianca, una pagina da scrivere ancora…
Di qui il suggerimento incessante, martellante quasi, che viene da “Sogna, ragazzo, sogna…” di Roberto Vecchioni
Sogna, ragazzo, sogna
Ti ho lasciato un foglio
Sulla scrivania
Manca solo un verso
A quella poesia
Puoi finirla tu…..
E forse, per tutti noi, la cosa migliore, sarebbe cogliere da questa esperienza un monito, una lezione di cui tener conto…
…sarebbe anche questa un’occasione…
Cerchiamo di non perderla!
Invito all'approfondimento
- Camus A (1942): Lo straniero. Bompiani, 2015
- Verga G (1889): Mastro-don Gesualdo. Einaudi, 2019
- Emily Dickinson: Poesie. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2012
- Scola E: Ballando ballando. Film 1984
Areniello P: Il silenzio dell’escluso. In: Neamente Journal, vol. 1, no. 1, 2020. (Tipo: Journal Article | Abstract | Links)@article{Areniello2020, Brevi riflessioni tra arte e letteratura sulla condizione dell’escluso. Un percorso che va dai silenzi del Mastro – don Gesualdo di Verga alla condizione dell’isolamento di Leopardi, alla Emily Dickinson che si esclude dalla società. Passando per il non finito nel campo dell’arte, al film interamente senza parole di Ettore Scola per concludere con la “pagina bianca” di una certa narrativa contemporanea come invito alla conoscenza e a scrivere ancora. |