Classificazione e diagnosi dei disturbi di personalità
- Psicopatologie
Gianfranco Del Buono
- 5 Febbraio 2022
Abstract
Questo lavoro intende introdurre l’approccio alla diagnosi dei disturbi di personalità secondo l’ICD-11, cioè la Classificazione Internazionale delle Malattie, curato dall’OMS. L’ICD-11 ha sposato un approccio completamente dimensionale alla diagnosi dei disturbi di personalità: sono state eliminate tutte le categorie diagnostiche (borderline, paranoide, narcisistico etc.), e rimane una sola categoria diagnostica, il disturbo di personalità in sé.
Per prima cosa, al clinico è richiesto di determinare se la presentazione clinica dell’individuo soddisfi i requisiti diagnostici generali dei disturbi di personalità, andando a valutare il funzionamento generale della personalità, che si focalizza sul funzionamento del Sé e del funzionamento interpersonale. Il compito del clinico è di determinare il grado e la pervasività dei disturbi del Sé e del funzionamento interpersonale. Nel passo successivo, il clinico determina se è più appropriata una diagnosi di lieve moderato o grave disturbo di personalità. In aggiunta, l’utilizzatore ha la possibilità di codificare un livello sub-clinico: la personalità difficile. Il manuale include anche l’opzione di specificare il qualificatore di pattern borderline, che è adattato dai criteri del DSM-5 del disturbo borderline di personalità. Infine, i disturbi di personalità sono descritti indicando la presenza tratti caratteristici maladattivi di personalità: affettività negativa, distacco, dissocialità, disinibizione, e anancastia. Questi qualificatori di tratto descrivono dei pattern individuali di personalità che contribuiscono alla disfunzione globale della personalità.
Parole chiave: DSM-5; ICD-11; Disturbi di personalità; Funzionamento del Sé; Funzionamento interpersonale
La diagnosi in Psichiatria è l’origine di molti dibattiti, e probabilmente ancora lo sarà per il futuro. All’interno di tale dibattito, sono emersi due tendenze principali riguardo all’approccio nosografico: quello categoriale e quello dimensionale. Ci sembra pertanto opportuno spendere qualche parola su questi termini, per tentare di comprenderli meglio.
Il modello categoriale suddivide le malattie mentali in categorie diagnostiche chiaramente separate l’una dall’altra (schizofrenia, depressione, ansia, ecc.), in linea con la tradizione della medicina.
Le categorie diagnostiche dei disturbi mentali (adottate in maniera ufficiale dal DSM-III, pubblicato nel 1980) sono state sviluppate all’interno di un modello medico tradizionale che considera i disturbi mentali come condizioni qualitativamente distinte (Guze & Helzer, 1987). Nel DSM-IV-TR, si afferma esplicitamente che “il DSM-IV è una classificazione categoriale che suddivide i disturbi mentali in tipi basati su gruppi di criteri con manifestazioni definite (APA, 2000, p. xxxi)”. Le categorie sono state differenziate tra di loro con criteri operativi che vengono utilizzati con una modalità politetica: per soddisfare una diagnosi l’individuo deve superare una soglia di un numero minimo di criteri, ad esempio nel disturbo borderline 5 criteri su 9, per cui due persone con la stessa diagnosi possono avere solo pochi criteri in comune (Bach & First, 2018).
Invece, il modello dimensionale presuppone una distribuzione delle malattie secondo variazioni quantitative (relative alla gravità del disturbo, alla percezione, alla cognizione, alla tonalità dell’umore, ecc.) secondo un continuum che va dalla normalità fino alla patologia grave. In tal modo si ha il vantaggio di comunicare un maggior numero di informazioni, che rimangono costanti nel tempo (migliorando in tal modo anche l’attendibilità).
Comunque, se i disturbi mentali siano entità cliniche discrete o distinzioni arbitrarie di una sottostante dimensione di funzionamento è una questione che assume sempre maggior rilievo viste le limitazioni di un modello categoriale rigido.
Dalla letteratura specialistica sembra emergere la tendenza ad affermare che le diagnosi categoriali non hanno una base empirica sufficiente e non sono in grado di generare strumenti di valutazione affidabili per pianificare un trattamento (Herpetz, 2017), pertanto le classificazioni attuali vedono il DdP meglio rappresentato su un continuum (Tyrer, 2015): il DSM-5 (APA, 2013) si esprime in maniera chiara (pagina 895) affermando che “come la maggior parte delle attitudini umane, il funzionamento della personalità è distribuito lungo un continuum”.
L’ICD-11
Fin dal 1940, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è assunta la responsabilità di pubblicare la classificazione delle malattie, cioè l’ICD (International Classification of Disease). Nel giugno del 2018, l’OMS ha presentato una versione pre-finale della 11ma revisione dell’ICD (WHO, 2018). Nel maggio 2019, tale versione è stata approvata, dalla 72ma Assemblea Mondiale della Sanità che comprende i Ministeri della Salute di tutti i 194 Stati membri, dando inizio al processo di transizione dall’ICD-10 all’ICD-11. L’ICD-11 sarà utilizzato in maniera ufficiale dal 01/01/2022 (Reed et al, 2019).
Il Dipartimento dell’OMS dedicato alla Salute Mentale e all’Abuso di sostanze ha avuto la responsabilità di sviluppare quattro capitoli dell’ICD-11: disturbi mentali, comportamentali e del neurosviluppo, disturbi del ritmo sonno-veglia, disturbi del sistema nervoso, e condizioni correlate alla salute sessuale, quest’ultimo insieme al Dipartimento dell’OMS sulla Salute e Ricerca sui problemi riproduttivi.
A beneficio dei professionisti della salute mentale, lo stesso Dipartimento ha sviluppato le cosiddette CDDG (cioè Descrizioni Cliniche e Linee Guida Diagnostiche), il cui principio organizzatore è stata l’utilità clinica (International Advisory Group for the Revision of ICD-10, 2011; Reed e Toward, 2010).
Il Gruppo di Lavoro, che, in questa edizione dell’ICD, si è occupato di Personalità e Disturbi di Personalità, ha sviluppato un modello che abolisce di fatto tutte le categorie dei DdP, a parte quello del disturbo di personalità stesso (Pull & Janca, 2018), sposando completamente l’approccio dimensionale alla classificazione e diagnosi dei DdP (Bach, 2018), e lasciando solo la distinzione sulla base della gravità (Pull & Janca, 2018).
L’ICD-11 permette al clinico una valutazione rapida della personalità; per porre diagnosi di DdP, vengono richiesti tre steps successivi: presenza o meno del DdP, livello di gravità, presenza di “qualificatori di tratto”.
Le CDDG dell’ICD-11 richiedono per prima cosa di determinare se le caratteristiche cliniche soddisfino i requisiti diagnostici generali per il disturbo di personalità, attraverso una valutazione globale del funzionamento della stessa, che anche in questo caso, deve tener conto sia del funzionamento del Sé che di quello interpersonale.
Requisiti per un ottimale funzionamento del Sé, l’ICD-11 cita la stabilità e coerenza dell’identità, autostima, accuratezza della visione di sé, e la capacità di autodirezionarsi; invece, la disfunzione interpersonale va valutata nei vari contesti e relazioni (comprensione della prospettiva degli altri, sviluppo e mantenimento di relazioni strette, gestione dei conflitti).
Viene specificato che le manifestazioni del disturbo coinvolgono modalità cognitive, comportamenti ed esperienze emotive, che si rivelano maladattive perché inflessibili o scarsamente regolate; che si manifestano in molte situazioni sociali, e non solo in singolari contesti di vita e/o interpersonali. Ovviamente il disturbo non è dovuto a momenti particolari del ciclo di vita, non è culturalmente spiegabile, né trae la sua origine da altre condizioni mediche, neurologiche o abuso di sostanze. Infine, causa disagio e/o deficit in molte aree di vita (personale, familiare, sociale, scolastica lavorativa etc).
Bisogna rilevare alcune caratteristiche peculiari introdotte dall’ICD-11 nel processo diagnostico dei DdP. Infatti, è necessario che le caratteristiche del disturbo debbano essere state presenti per almeno due anni e che il disturbo di personalità può presentarsi solo relativamente stabile, tanto da potersi modificare fino a scomparire con il passare degli anni. In altri casi, un individuo può sviluppare un disturbo di personalità dopo l’adolescenza e gli anni giovanili, in particolari frangenti di vita, quando ad esempio perde il supporto sociale che in precedenza aveva compensato il disturbo di personalità (Bach & First, 2018). Quindi, se il DdP ha inizio dopo i 25 anni, senza che ci sia una storia evidente di esordio in adolescenza, si può aggiungere il qualificatore di “esordio tardivo” (“late onset qualifier”).
L’ICD-11 non contiene alcuno strumento per la valutazione della disfunzione del Sé e interpersonale, in quanto è stato ritenuto che la valutazione del Sé sia troppo complessa e vada oltre le attese della maggior parte dei professionisti. Ma tale posizione ha suscitato obiezioni e critiche, e sarà sottoposta ad ulteriori verifiche empiriche.
Nel secondo step diagnostico, viene richiesto di determinare se è più appropriata la diagnosi di lieve, moderato o grave disturbo di personalità, e ci si basa sul grado di pervasività del disfunzionamento della personalità, sulla pervasività, gravità e cronicità delle manifestazioni emotive, cognitive e comportamentali in rapporto agli altri, ed il grado in cui queste modalità sono associate con disagio o deficit psicosociale.
Così, invece di avere dieci tipi di personalità (come la classificazione “ufficiale” del DSM-5), si può avere “una sub-classificazione” in tre livelli di gravità, che non possono coesistere l’uno con l’altro: lieve medio, severo. Questo comporta che il livello di gravità lieve diventa la soglia per diagnosticare un disturbo di personalità. Ovviamente un paziente non può avere contemporaneamente un disturbo grave di personalità ed un disturbo lieve di personalità, con ciò eliminando l’eccesiva presenza di comorbidità tipico dell’ICD-10. Al clinico, è riservata l’opzione di indicare la presenza di un disturbo di personalità senza specificarne la gravità (ad esempio: gravità non specificata).
Tratti o “qualificatori di tratto”
Dopo aver identificato la presenza o meno di un DdP e averne individuato il livello di gravità, il clinico ha la facoltà di indicare un “qualificatore” di tratto prominente che qualifichi la disfunzione della personalità, quando appropriato. I “qualificatori di tratto” costituiscono un profilo della sottostante struttura di personalità, che può caratterizzare gli individui con DdP, denotando stili di personalità che contribuiscono a dare colore al DdP stesso, ma non rappresentano un dato solamente patologico (non sono diagnosi sindromiche).
Il disturbo lieve di personalità può essere associato con un solo qualificatore di tratto, mentre il disturbo di personalità grave si può probabilmente associare con diversi qualificatori di tratto. Quindi la presenza di uno o più qualificatori di tratto può riflettere la gravità del disturbo. Comunque, può anche capitare che un individuo abbia un disturbo grave di personalità e manifestare solo un qualificatore di tratto. Nella tabella 1, sono enumerati i cinque tratti che rappresentano un gruppo di dimensioni che corrispondono alla sottostante struttura di tratti personalità.
C’è una differenza importante tra il DSM-5 e l’ICD-11 riguardo i tratti patologici di personalità, il dominio psicoticismo del DSM-5 è sostituito dal dominio anancasmo nell’ICD-11.
In aggiunta a questi descrittori dello stile di personalità, l’ICD-11 prevede anche l’opzione di Qualificatore di pattern borderline, che può essere usato in combinazione con i qualificatori di tratto (Bach & First, 2018). Tale qualificatore di “borderline pattern” richiede almeno 5 criteri politetici sui 9, sovrapponibili ai criteri del disturbo borderline secondo il DSM-5. Uno degli obiettivi che giustifica l’introduzione del qualificatore di “modalità borderline” è quello di assicurare continuità di cura nella transizione tra ICD-10 ed ICD-11. Può dimostrarsi di particolare utilità clinica, facilitando l’identificazione di individui che possano rispondere a trattamenti psicoterapeutici coerenti con teorie standardizzate (Reed et al, 2019).
Anche se la presentazione che fa l’ICD-11 dei tratti patologici può apparire poco dettagliata nel descrivere le sottili differenze individuali, gli studi condotti fino ad oggi fanno ipotizzare che i qualificatori di tratto possano spiegare la grande variabilità riscontrata in tutti i disturbi di personalità, perdendo così poche informazioni nel passaggio dai 10 disturbi di personalità del DSM-5 (Bach et al, 2018; Fossati et al, 2013; Morey et al, 2016; Hopwood et al, 2012; Sellbom et al, 2014).
La “Personalità difficile” (Personality Difficulty)
L’ICD-11 include anche la categoria della Personalità Difficile, che non deve essere considerata un disturbo mentale, ma è di un livello subclinico (Gaebel, 2017), non raggiunge il livello di gravità tale da rientrare in una diagnosi di DdP, e si riferisce a caratteristiche marcate della personalità.
La Personalità Difficile viene situata nella sezione dell’ICD-11 dedicata ad entità non patologiche, non di rilievo clinico, che possono rientrare tra i problemi associati alle interazioni personali nel capitolo su “fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari”. La Personalità difficile potrebbe essere assimilata alla categoria codificata come Z73 dell’ICD-10 (“problemi correlati a difficoltà nella gestione della vita”), nel capitolo dei fattori che influenzano lo stato di salute e il contatto con i servizi sanitari (WHO 2016).
Anche la personalità difficile è caratterizzata da difficoltà della durata di almeno due anni. L’individuo con Personalità Difficile, diversamente dal disturbo lieve di personalità, dimostra problemi in alcune circostanze, ma non in grado tale da compromettere la capacità di mantenere un lavoro, iniziare e mantenere amicizie, o di godere di relazioni intime soddisfacenti. Problemi emotivi, cognitivi e comportamentali vengono espressi in maniera episodica, o a bassa intensità, o si presentano solo nei periodi di stress.
Comunque, la Personalità Difficile sta ad indicare la presenza di vulnerabilità specifiche (Bach & First, 2018).
Five factor model o “Big five”
L’impostazione della diagnosi dell’ICD-11 sui DdP e soprattutto per quanto riguardo i qualificatori di tratto, risente del modello dei “Big Five” o modello dei 5 fattori (Five Factor Model, o FFM), che è il modello dimensionale più conosciuto ed utilizzato. Il modello Big Five presenta una struttura generale della personalità in grado di spiegare ogni tratto maladattivo della personalità (Clark, 2007, Widiger, 2017). Per Widiger et al (2017), il modello a 5 fattori costituisce la base temperamentale che è a fondamento della personalità. In tale modello abbiamo 5 aree di largo respiro che sono denominate: Nevroticismo (o affettività negativa), Estroversione (vs introversione), Apertura mentale (o Apertura all’esperienza), Gradevolezza (vs antagonismo), Coscenziosità (costrizione).
Conclusioni
In conclusione, l’ICD-11 ha il grande vantaggio di semplificare il processo diagnostico del DdP, spostando l’attenzione sui fattori generali alla base della personalità patologica, e in seconda battuta sulla gravità del disturbo (Bach & First, 2018).
L’approccio diagnostico ai DdP dell’ICD-11 si allinea al concetto di organizzazione di personalità, che risale sia alla tradizione psicodinamica (Doering et al, 2013; Caligor et al, 2018), che a quei modelli teorici che sono centrati sulle manifestazioni nucleari dei DdP, in grado di produrre molti dati di tipo prognostico e predittivo sul DdP (Clark et al, 2018; Wright et al, 2016).
Nel determinare la presenza o meno di un DdP è diventato dirimente comprendere come gli individui sentono e percepiscono loro stessi e gli altri (Pincus et al 2020). La patologia della personalità viene così definita dai processi connessi al funzionamento del Sé ed al funzionamento interpersonale, e viene separata dalle specifiche manifestazioni individuali che differenziano un individuo dall’altro (i qualificatori di tratto).
Sui processi che regolano il Sé e le relazioni interpersonali che presuppongono l’Altro, si è andata a focalizzare l’attenzione dei clinici che trattano i DdP, e così pure la maggior parte dei trattamenti evidence-based è diretta verso i fattori processuali generali dei DdP, nel tentativo di migliorare la percezione del Sé e dell’Altro, come avviene attraverso la mentalizzazione o attraverso la regolazione delle emozioni (tecnica tipica della DBT).
I qualificatori di tratto sono componenti fondamentali dei DdP, rappresentandone lo stile di espressione della personalità, e sono strumenti ottimi per distinguere le peculiarità dell’individuo; inoltre, i tratti di personalità forniscono informazioni preziose riguardo i contesti che li evocano (le situazioni interpersonali).
Il modello incentrato sul funzionamento della personalità ha una natura esplicativa, perché tenta di spiegare ciò che attualmente sta accadendo; si sofferma sulla dinamica perché il funzionamento (o il disfunzionamento) della personalità si riferisce ai processi dinamici relativi alla patogenesi e ai meccanismi di mantenimento del disturbo.
Il modello categoriale, tipico delle varie edizioni del DSM, è invece di tipo strutturale, va ad evidenziare le differenze individuali (le relazioni statiche), ed è per tale motivo di natura descrittiva, ed è stato il focus della ricerca empirica.
Utilizzando un linguaggio metaforico attinto dalla medicina, potremo concludere che, la struttura di personalità è simile alla morfologia mentre la funzione è simile alla fisiologia (Wright & Kaurin, 2020).
L’aver centralizzato il deficit del funzionamento del Sé e dell’Altro ha permesso quindi di:
a) Distinguere i fattori nucleari della patologia di personalità da altri sintomi psicopatologici, che frequentemente si possono presentare in contemporanea (ansia, umore depresso, disturbo dell’alimentazione)
b) Integrare in maniera organica le nozioni di personalità normale e quella “anormale”;
c) Allinearsi con gli obiettivi dei trattamenti basati sulle evidenze riguardo i DdP.
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Del Buono G: Classificazione e diagnosi dei disturbi di personalità. Introduzione: Categorie e dimensioni. In: NeaMente Journal, no 0, 2022. (Tipo: Journal Article | Abstract | Links)@article{nokey, This paper would introduce the approach to the diagnosis of personality disorders of ICD-11, that is the International Classification of Diseases, edited by World Health Organization (WHO). ICD-11 has embraced a fully dimensional approach to the diagnosis of personality disorders: all diagnostic categories (borderline, paranoid, narcissistic, etc.) are suppressed and an only personality disorder is left. At first, the clinician is required to evaluate wheth¬er the individual’s clinical presentation meets the general diag¬nostic requirements for personality disorder, with evaluation of personality global functioning, focusing on the impairment of self and interpersonal functioning. The task of clinician is to determine the degree and pervasiveness of disturbances of self and interpersonal functioning. In the following step, the clinician determines whether a diagnosis of mild, moderate or severe personality disorder is appropriate. In addition, the user have the possibility to code a sub-clinic level: Personality Difficulty. This manual also includes the option of specifying a Borderline Pattern Qualifier, adapted from the DSM-5 criteria for Borderline Personality Disorder. Furthermore, personality disorders are described by indi¬cating the presence of maladaptive personality traits. Five trait domains are included: negative affectivity, detachment, dissociality, disinhibition, and anankastia. These trait qualifiers describe the individual patterns of personality that contribute to the global personality dysfunction. |
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Psichiatra, Psicoterapeuta | Tel: +39 338 4646631 | e-mail: delbuono.g@alice.it